La colazione è il pasto più meditato di certi italiani e quello più estemporaneo di certi altri.
Che siate dei professionisti dell’apparecchiatura mattutina in stile famiglia Mulino Bianco o apparteniate al burbero partito del “prendo un caffè al volo e digiuno fino a pranzo”, potreste perdere ogni certezza maturata finora nell’assaporare un piatto insolitamente sapido, e smettere i panni dello scettico abitudinario.
Potrebbe crollare ogni linea di confine fra il mangiabile e il non, in una gioia del gustare senza tempo – a eccezione forse del (ingiustificatamente) nefasto cavolo a merenda.
Alla fine diventerete persone migliori (almeno nella prima parte della giornata).
Pane e olio.
L’archetipo di tutti i pasti, il principio e la fine, il fiat lux dell’appetito. Pane e olio è l’accostamento che rende ogni onnivoro capace di provare comunanza di sentimenti con un vegano. È il cibo-calumè, la chiave del cuore di ogni essere umano. Con olio toscano fresco di frantoio, in certe mattinate invernali ma lucenti, fa venir voglia di sorridere persino agli urbanizzati coatti.
Pane nero e pecorino.
Il pane integrale più buono è quello con la crosta tostata, di un castano intenso, e spessa di strati di lamelle croccanti. Perfetto per una tarda colazione, ancora caldo (o di nuovo caldo), con una fetta fine di pecorino di Pienza stagionato stesa sopra, integra ma ammansita dalla vampa del brunito compagno.
Frittata e/o omelette di patate e/o cipolle.
Il brunch. Quando “non esisteva”il brunch. Quando magari era l’ispirazione in extremis per dare il benservito agli avanzi della sera prima. Alta e dorata, in teglia come al forno, la frittata mattutina è un autoregalo succulento e sano, è la proteina che non ti aspettavi in versione così italica, è cosa buona e giusta.
Pane e burro e acciuga, con licenza di cappero.
Un inizio dolce e un po’ salato. Con la nota acre del cappero a ricordarti che non sei in Svezia. Un classico da merenda, ottimo anche nella sua versione mattiniera – oro in bocca, anzi l’argento delle acciughe di Cetara.
Focaccia, pizza rossa, schiacciata.
Colazione take away. Incartare in un foglio giallo e ruvido e via, verso nuove avventure. Beati, unti e soddisfatti.
Uovo (anche) da bere.
Alla coque, svelto in padella, oppure bucato in cima e sorbito a mo’ di fialetta. Rustici si nasce, certo, ma raccontare all’aperitivo del dopo ufficio di aver cominciato la giornata con un uovo alla goccia non ha prezzo.
Toast (french e non).
Si consiglia per spuntini sbrigativi quello tradizionale, cotto e fontina, innocuo e perfetto persino per i postumi di una sbronza, accompagnato da caffè nero. L’altro, più lussureggiante, è triste da soli e non abbastanza gioioso in due, ma si può sempre rimediare con l’aggiunta di pancetta (fresca, saltata a parte o passata sotto il grill) e un pizzico di cannella.
Pomodori da soli.
Da soli loro, i pomodori. Ma a mangiarli si può essere anche in compagnia, a patto di riuscire a trovare quella giusta. Sono pochi, incredibile, quelli che hanno capito la grazia del pomodoro affettato o spezzato nel piatto e mangiato così com’è, cosparso di sale, pepe e olio giusto. La versione invernale si fa con il pomodoro pendolino: buccioso, senza semi e con la polpa vermiglia, da strusciare sul pane abbrustolito come a volerlo imburrare di rosso.
Panzanella.
Facile d’estate, con cetrioli, basilico profumato, San Marzano e cipolla di Certaldo. Ma un fuori stagione con il cavolo nero tagliato finemente e appena scottato nell’olio e il pane arrostito e agliato prima di essere bagnato e fatto a pezzi grossolani? Provare per credere.
Chi non ha provato mai a mettere da parte cereali, brioche, biscotti e torte per dischiudere le papille mattutine a insoliti accessi salati, non merita la mia comprensione.