Abbiamo sushizzato la tartare. Brunchizzato il pranzo della domenica. Incipriato lo street food. Degustato macaron e caffè americano al posto dei biscotti al burro con il tè. Cupcakizzato la torta della nonna. Abbiamo piluccato formiche ed erbe di campo. Cioè, qualcuno, non noi.
Stili, ricette, alimenti poco noti o mai sentiti prima fanno capolino nelle cucine dei ristoranti e improvvisamente scopriamo di non poterne più fare a meno.
Confessate che hipster non sono sempre gli altri, che è capitato anche voi di trasformare il cibo in uno status da esibire e instagrammare. Che anche voi una volta nella vita avete partecipato al fashion (food) party mangiando almeno uno di questi 10 cibi.
Non è così?
Falafel.
Senz’altro lode ai falafel, polpettine mediorientali di legumi e spezie piccole e insidiose: ne mangeresti 100, perfette per i palati vegetariani e per chi ama e cerca la cucina ebraica, permettono un pit stop veloce.
Sì, è vero, tutto sommato sono leggere, ma occhio con questa scusa a non consumarne multipli di dieci (come me) e a non affogarli in chili di hummus o salsa tahina (come me).
Topinambur.
Questo illustre sconosciuto, colpito all’improvviso da una fama stile Masterchef. Ora lo troviamo ovunque e comunque, anche dove forse ci stava meglio una patata. È indicato nelle diete, è vero, ma siamo proprio sicuri che ce n’è sempre bisogno?
Fateci caso, non c’è ormai un fondo, una crema, una salsa che si lasci sfuggire l’opportunità di essere intrisa di carciofo di Gerusalemme. Eh sì, ormai siamo oltre. Se sei figo, lo chiami con uno dei suoi mille altri nomi.
Lemongrass.
Importato dalla cucina thai diventa rapidamente l’amico di tutti. E dunque via a infilate di piatti dove il povero e maltrattato limone starebbe senz’altro meglio.
Ma vuoi mettere? Un menù con scritto “Spaghetti alle cozze con schiuma di lemongrass”? Tutta un’altra storia.
Kamut.
Orde di persone che si precipitano nel negozietto bio o al supermercato per comprare pane e pasta di kamut convinte che presto dimagriranno.
La più grande incomprensione degli ultimi tempi o inganno pubblicitario se preferite, lo accredita addirittura come prodotto adatto ai celiaci. Falso. Falsissimo. Il glutine c’è e neanche poco. Buona la pasta di Kamut sì, ma non per dimagrire.
Ramen.
Una grande ciotola di brodo caldo di carne o pesce con tagliatelle o tagliolini di frumento più o meno sottili, cui si aggiungono a volte miso o salsa di soia, fette di carne, molluschi, germogli di soia, porri, alghe marine secche, kamaboco (panetto compatto e colorato composto da surimi e pesce azzurro frullati), cipolla, uova, mais e via così all’infinito.
E così, come in Giappone, ecco popolarsi i nostri ristoranti di lunghi banconi, teste chine, avventori curvi sulle ciotole fumanti e caratteristico rumore di brodo risucchiato: iconografia di un ramen.
Zenzero.
Resiste. A fettine, frullato, cotto, crudo. Negli antipasti, nei cocktail, nelle carni, o come gelato. È buonissimo, io stessa ne sono vittima. Ma permette un appunto?
Cuochi e chef: toglietevi le fette di zenzero dagli occhi. I piatti non diventano esotici solo perché ci grattate sopra la profumata radice di cui sopra.
Porridge.
La crema d’avena ha sostituito nei menu dei ristoranti pietanze radicate, diventando silenziosamente protagonista di colazioni a la page. D’accordo, non è da tutti concentrare vitamine, ferro, zuccheri, proteine nella stessa ciotola, ma le nostre mamme l’hanno sempre saputo: le vostre prime pappe non erano a base di latte e fiocchi d’avena?
Solo che oggi è una mania: salato, dolce, con frutta, dietetico. Farina e fiocchi d’avena (meglio se tostati) in parti uguali. Due porzioni d’acqua e una di latte. Sale a fine cottura. Miele e yogurt greco per guarnire. E tutti a compulsare su Twitter come lo prepara oggi Nigella Lawson. Ma si può?
Germogli.
Mai più senza, per carità. Chi se la sente più di rinunciare a quei teneri ciuffetti amorosi. Germogli di piselli, soia, rabarbaro, ravanello, carota, di cavolo verza, di zucchine. E via così.
Da quando è iniziata la primavera poi i piatti son tutti un germoglio minuto e croccante.
Hummus.
Con ceci interi, pistacchi o pinoli, caldo o freddo. Oggi tutti, dai piccoli bistrò ai ristoranti stellati, ognuno propone la propria versione di hummus. Le ricette sono le più svariate, di solito si fa con ceci, cumino, aglio, una spremuta di limone, paprica dolce, olio extra vergine d’oliva e sale.
Se lo preparate voi non dimenticate il vortice di salsa tahina (salsa al sesamo) al centro. Sarete fighi (cos’importa poi se 100 grammi di tahina contengono più o meno 600 calorie)
Tapas.
Andar per Tapas è molto simile al giro dei cicchetti veneziani: ci si sposta da un locale all’altro e si gustano piattini freddi e caldi, piccanti, speziati, agrodolci accompagnati da diversi tipi di vino o birra.
Tramonta gradualmente l’era degli hamburgeroni e complice l’aperistreetfood aumentano i tapas bar all’italiana. Piacciono tanto anche a voi? Non ci sono più dubbi ormai: siete delle fashion food victim.