“Ritornare a Sud. Per seguire il mio destino”. Così cantava Battiato.
E quando Pino Cuttaia, lo chef che ha preparato il pranzo catanese in occasione del recente G7 di Taormina, è ritornato a casa, a Licata, nella Sicilia bella, il filo del suo destino ha realmente iniziato a svolgersi.
Dopo essere emigrato a Torino ancora bambino, al seguito della famiglia, il giovane Pino, dopo gli studi, inizia a lavorare in fabbrica, sempre cercando però di conservare gli antichi sapori della sua terra e della sua infanzia nella cucina di casa. All’inizio per divertimento e nostalgia, poi per diletto e infine per mestiere.
Cuttaia inizia quindi a far pratica al ristorante “Sorriso” di Soriso, in provincia di Novara, quindi al “Patio” a Pollone, in provincia di Biella.
Nel 2000, con il suo bagaglio di esperienza, lo chef siciliano decide di tornare a casa, a Licata, in quel paese dove nessuno, che non vi fosse legato da legami di nascita o di affetto, si sognerebbe di dare il via a un ristorante di grandi ambizioni.
Invece è lì, in corso Re Capriata, che Pino Cuttaia apre La Madia, insieme alla moglie Loredana.
Lì, in quel locale solo fino a poco tempo fa spartano, dall’aspetto vagamente kitsch, Cuttaia ha ricevuto la prima stella Michelin nel 2006 e la successiva nel 2009, grazie ai suoi piatti pervasi di antica tradizione siciliana.
Nascono così l’arancino al forno con tisana di triglia fritta, che “racconta lo sforzo antico di conservare i prodotti attraverso le stagioni, portato all’estremo con l’essiccatura della lisca della triglia, da cui si ricava la tisana”, dice Cuttaia.
E nasce così anche il Merluzzo affumicato alla pigna e condito alla pizzaiola, che lo riporta a quando, ancora bambino, andava a raccogliere le pigne per accendere il fuoco, e ai gesti della madre, che utilizzava la carne avanzata per preparare un piatto nuovo e invitante, la pizzaiola.
Ora, Cuttaia ha 49 anni, è uno chef affermato, e di recente ha anche completamente ristrutturato La Madia.
Ambienti essenziali e raffinati, pareti in rovere chiaro e musica classica di sottofondo hanno preso il posto delle “tinte allucinanti e delle decorazioni siculo-trash” che caratterizzavano il vecchio locale.
“La cucina si è evoluta – dice Cuttaia – Una volta veniva tramandato il gesto e il cuoco non si chiedeva nulla. Oggi se vedo il pasticciere che setaccia a mano la ricotta sono felice. Mi evoca un ricordo. Che bello! Il pasticciere però deve chiedersi il perché delle cose e scegliere di continuare così. E non lo deve fare solo perché non vuole spendere per i nuovi macchinari. Altrimenti è pigro e tirchio”.
Cuttaia, invece, non è né tirchio né pigro.
Anzi, per coloro che non intendono o non possono concedersi una cena presso il suo ristorante ha anche aperto una bottega alimentare chiamata Uovo di Seppia, proprio come il geniale piatto che più lo rappresenta, un guscio d’uovo svuotato e riempito di pasta di seppia, a testimoniare la tradizione siciliana rappresentata però in un modo nuovo, diverso e anche divertente, proprio come deve essere il cibo.
“Questo negozio, scuola di cucina e spazio per eventi, è una vetrina a disposizione di tutti – dice Cuttaia, che cucina personalmente molte delle preparazioni in vendita – Non puoi venire a mangiare alla Madia? D’accordo, vieni qui e con un euro entri nell’intimo del cuoco. Guarda queste tagliatelle. Le ho voluto fare così rugose, irregolari. La memoria dell’imperfezione. Mi ricordo il gesto della mamma che una volta preparate le appoggiava sul letto. Come se le mettesse a dormire, un gesto di tenerezza e di protezione”.
E illustra anche la sua visione della cucina oggi:
“Quando hai un locale importante hai la presunzione di sapere tutto. Ma a un certo punto tutto viene messo in discussione. Trent’anni fa non dovevi faticare: la farina era buona, le uova erano buone e tu preparavi una buona pasta. Ora devi andarli a cercare. Sono in grado di discutere con un contadino sulle caratteristiche di un pomodoro per ore, come se parlassi di calcio! Io attingo dal sapere dell’artigiano”.
E mentre nel negozio paste, sughi e dolci vengono proposti in modo leggero e informale, a La Madia Cuttaia prosegue la ricerca fatta di piatti che lo hanno reso famoso, gli stessi presentati al G7 di Taormina.
Piatti come il “polpo sulla roccia”, dove la roccia è la stessa acqua di cottura del polpo resa solida con amido e albume, e una finta sabbia composta da cozze e lenticchie fritte e sfarinate.
Oppure il quadro di alici, ovvero acciughe trattate con acqua di mare e ghiaccio alternate al carbone di nero di seppia, ottenuto tramite essiccazione e polverizzazione della vescica della seppia, il tutto racchiuso in una cornice di maionese di bottarga di tonno.
Oppure ancora la Nuvola di caprese, definita “fantastic” da Melania Trump, formata dall’impalpabile pellicina del liquido di governo della mozzarella adagiata sopra una spremuta di datterini rossi e profumata con aglio e basilico.
E poi anche la Triglia e germogli di cappero, triglie rosse di scoglio abbinate ai sapidi capperi di Pantelleria.
E per finire anche la celestiale pizzaiola con merluzzo all’affumicatura di pigna,
Piatti che non sono soltanto magistrali preparazioni gastronomiche, ma sono ricordo, omaggio, amore per la propria terra e la propria gente.
Per questo Cuttaia è tornato al Sud: per trovare il suo destino.
E lo ha trovato proprio a Licata. Il paese da cui, tanti anni prima, era partito.
[Crediti: Identità golose, Gazza golosa, Dissapore. Immagini: Alfio Bonina, Rossella Neiadin]