Chiamatele schiscette stellate: derive gastrofighette dalle quali, confesso i miei peccati, mi sento attratta.
Invece di giudicarmi e puntarmi il dito contro, provate a pensarci con calmo oggi che è sabato: non vi piacerebbe che almeno una pausa pranzo in ufficio delle vostre cinque settimanali in ufficio non assumesse le tristi fattezze di una caprese a gennaio?
Certo, vi costerà una discreta fortuna, e il nodo sta proprio qui: nel portafogli alleggerito a tal punto da digerire i piatti con l’aiuto di una sagomata di Brioschi.
Comunque, il mercato ci osserva, sì proprio a noi che stiamo sul filo sottile del “li spendo, non li spendo” e qualcuno deve averci annusato l’affare se da qualche mese esiste Jarit, ricette firmate in barattolo di vetro che si possono mangiare in loco (Milano o Varese), comprare e scaldare a casa, oppure ordinare online e mangiare allegramente già riscaldate al parco.
Evidentemente la semplice voglia di un piatto con fattezze stellari è diventata un’esigenza per molti, per tutti quelli che hanno un debole per gli chef di comprovata e micheliniana bravura.
Me compresa, ovviamente, che immolandomi per la causa ho sperimentato 5 pause pranzo all’insegna del barattolino.
Ve lo dico subito: la spesa non è una sciocchezzuola paragonabile a quella di un trancio di pizza, ma l’occasione mi era troppo ghiotta per non immolarmi alla causa.
Giorno 1: lunedì
Tutte le diete e i buoni propositi iniziano il lunedì. Ma è di per sé un giorno di magra in cui anche solo rispondere all’appello della sveglia è una specie di fatica sovrumana.
Opto, quindi, per un barattolo di corpo e sostanza, crepi l’avarizia. La firma è quella di Matteo Pisciotta (Ristorante Luce, Varese) nuovo volto della cucina in tv, e per i varesini che in città non hanno stelle Michelin uno dei cuochi più “illuminati”.
Tonno di cappone, mela al forno, zucchero di canna e cannella, crema di castagne – La ricetta è stagionale, direi quasi natalizia e, soprattutto, dopo i tre minuti canonici di microonde consigliati dalla commessa il sottovuoto si apre che è una bellezza, senza ansie di ustioni multiple, e il cappone è sminuzzato “a boccone”.
Non troppo dolce come avrei immaginato visti gli ingredienti, e la carne è morbida e saporita. Ad averci visto più lungo, però, mi sarei portata un cucchiaio, domani migliorerò.
Costo: 12 euro / allo stesso prezzo avrei preso quasi 3 fette di pizza (sì, lo so che è un’altra cosa, ma tutti ci avreste pensato).
Giorno 2: martedì
Il martedì è il mio giorno carboidrato, mi ci vuole energia per affrontare gli appuntamenti del pomeriggio.
Scelgo il cous cous alle verdure, latte di cocco, curry e lemon grass, gambero scottato di Vinod Sookar, una stella Michelin per Al Fornello da Ricci (Ceglie Messapica).
La porzione è consona, non certo un’abbuffata galattica, ma alla fine sono sazia. Un po’ invadente il latte di cocco, ma tutto sommato piacevole e delicato.
Costo: 13 euro.
Giorno 3: mercoledì
Metà della settimana, tra poco inizia la discesa di decompressione verso il weekend: mi gioco il jolly. Oggi voglio il barattolino di Claudio Sadler (Ristorante Sadler, Milano) che con le sue due stelle è il cavallo di razza del progetto Jarit .
L’investimento è notevole per una pausa pranzo; 14 euro (il barattolo più caro della “collezione novembre-dicembre”, facciamo finta di non aver pensato che con quei soldi mi sarei portata a casa una pizza famiglia all’asporto sotto casa) per un piatto si possono spendere anche tranquillamente seduti in una trattoria, ma noi siamo gastrofighetti e l’investimento non ci fa paura.
Lo faccio per l’umanità, non dimenticatelo.
Sì, lo so che 14 euro potrebbero farvi andare di traverso tutto il commestibile, ma la minestra di ceci al rosmarino, polpo, prezzemolo e peperoncino è buona e abbondante (cioè forse non abbondante, ma i ceci riempiono).
Saporita, in tutto 3 pezzi medi di polpo, piccante solo un pochetto (trascurabile).
Attenzione: è necessario l’uso di un coltello visti i blocchi interi di polpo, ma il taglio all’interno del barattolo potrebbe procurare grandi frustrazioni, come quelle di costruire la barca nella bottiglia.
Giorno 4: giovedì
Ho fatto una colazione corposa, e comunque devo stare tutto il giorno in posizione rachitico-computeristica.
Oggi scelgo un barattolino leggero: crema di zucca, topinambur, chiodini alla nepitella, olio di pancetta affumicata firmato da Katia Maccari (una stella a I Salotti del Patriarca, Chiusi).
Bocciata, delusione da pausa pranzo che ho affogato con un bicchiere di vino. Il topinambur era crudo, la crema troppo dolce, insipida, i chiodini insapori.
Stavolta mi è andata male: 13 euro buttati.
Giorno 5: venerdì
Venerdì di magro, come tradizione reazionaria vuole. La crema di fave secche, cozze, cime di rapa, olio extravergine di oliva è quello che ci vuole.
Seguo la procedura dei tre minuti a 900 gradi, seguendo il copione dei giorni scorsi, eppure qualcosa va storto.
Un piccolo botto nel microonde mi avvisa che è parzialmente scoppiata una cozza, imbrattando il mio barattolino bello.
In effetti, per questo piatto, ne sarebbero bastati due di minuti, e gli ultimi 60 secondi hanno trasformato le mie cozze in chewing-gum.
Costo: 13 euro Sono parzialmente soddisfatta (la crema era buona, ma la consistenza delle cozze pareva un misto tra un marshmallow e un croccantino del gatto). Al solito: saranno le fave, ma riempie.
CONCLUDENDO:
— i legumi e affini sbombano, fungendo da divaricatore dello stomaco e quindi alla fine i barattolini saziano
— la qualità-prezzo, se raffrontata ad alcuni pranzi di lavoro del mezzogiorno, perde su tutti i fronti
— i barattolini sono bellissimi e riutilizzabili (co’ sti prezzi, direte voi)
— nelle avvertenze ci dovrebbe essere quella di consigliare un cucchiaino d’asporto (è tutto molto liquido)
— i miei colleghi (anche i più scettici e criticoni) hanno voluto assaggiare le schiscette stellate: ve lo avevo detto che “quelli del marketing” ci osservano…