Insolita presenza femminile tra il pubblico venerdì 6 maggio al Festival della Tv e dei nuovi media concluso ieri a Dogliani (CUNEO).
Da 16 anni a oltre 50, mamme con prole al seguito e signore distinte che non lo diresti mai si sono spinte nel paese del Dolcetto per un evento culturale, mosse più che altro dalla voglia capricciosa di vedere Carlo Cracco da vicino.
Tra il giallista Carlo Lucarelli e Renzo Arbore chi ha riempito davvero la sala è lo stellato di Masterchef.
Accanto a lui per “Quanto cibo in Tv!“, incontro delle 16 in Piazza Umberto I, Enzo Vizzari, critico gastronomico direttore de Le Guide de L’Espresso, Riccardo Bocca, critico tv del settimanale L’Espresso, Fabrizio Ievolella di Magnolia, produzione televisiva e Nils Hartmann, dirigente di Sky Italia.
Occasione preziosa per parlare di media e cibo. Sprecata. In un’ora scarsa di discussione, senza possibilità di intervento per il pubblico, i due produttori tv hanno ipotizzato la nascita di un “talent dei talent” con chef stellati al confronto, e si sono dette le solite cose sulle differenze tra tv generalista, quella in stile La Prova del Cuoco, e il palinsesto di Sky.
Un palinsesto pieno zeppo di cuochi d’eccellenza, con qualche eccezione: quell’Alessandro Borgese (Junior MasterChef, Kitchen Sound) che “Non ha mai messo piede in una cucina professionale“, ha sottolineato Vizzari.
Per un Cracco piuttosto annoiato invece solo lodi. Ad animare l’incontro ci ha provato Riccardo Bocca, che si è lanciato in un inedito paragone tra il vecchio Drive In di Antonio Ricci (“Nel bene e nel male emblema di un’epoca”) e MasterChef, che al contrario (“Non lascerà alcuna traccia”).
All’alto tasso di glicemia provocato dai tanti elogi reciproci abbiamo provato a rimediare correndo da Cracco, chiedendogli, come avevamo fatto con Massimo Bottura, di sfatare 6 luoghi comuni sul suo conto.
6 miti cercati tra i commenti di Dissapore, quel genere di cattiverie che la gente sente l’irrinunciabile desiderio di scrivere sul web per distinguersi dall’opinione generale, per scorticare i famosi, quelli che vuoi o non vuoi sono diventati autorità nel loro campo.
Iniziamo.
1. Ci sono due tipi di cuochi celebri. Quelli famosi per come si mangia nei loro ristoranti e quelli che lo sono perché stanno sempre in tv. Oggi Cracco appartiene alla seconda categoria.
Faccio lo chef da 35 anni. 35 anni passati nelle cucine dei ristoranti, prima degli altri poi i miei. Non è un problema che oggi si dica questo di me, dopo 35 anni posso anche andare oltre, penso di potermelo permettere.
E di essere famoso per qualche motivo non mi interessa granché, non voglio diventare un mito.
2. Cracco, l’uomo fattosi logo, predica bene (inorridisce quando Benedetta Parodi confessa da Fazio di impastare con le patatine, dice che “in cucina bisogna essere audaci purché si scelgano prodotti di qualità”), ma razzola male svendendosi per le patatine.
Ancora con questa storia delle patatine? Non facciamo confusione, sono due cose diverse. Mica c’è bisogno di cucinarla una patatina fritta, è già pronta: si apre e si mangia.
E questa è una cosa, io non sono intervenuto nella costruzione del piatto.
Cosa diversa è far da mangiare. Se si fa da mangiare con prodotti che non utilizzerei allora non ce la metto la faccia.
3. Gualtiero Marchesi sì che fa una tv pedagogica, non Cracco.
Mmm, memoria corta. Marchesi è andato in tv in un programma di RaiDue tra i primissimi, però non ha funzionato granché. Posso dirlo perché un paio di volte sono andato anche io come assistente.
Anni dopo lui ha preso le distanze da “tutti questi chef che vanno in televisione“, ma di recente c’è tornato specificando però che la sua tv è pedagogica. Si vede che lui ha tutte le caratteristiche per poterlo fare.
4. La cucina in tivù è fatta di insulti, Cracco e i suoi programmi creano illusioni e fanno danni.
Non esiste proprio (insomma, saranno anche ragioni di copione ma la versione italiana di Hell’s Kitchen è costruita sulle potenti incazzature dello chef, n.d.r.). Noi giudici non abbiamo intenzione di creare illusioni, però distinguiamo.
Masterchef si rivolge a cuochi dilettanti, che non frequenteranno per forza una cucina professionale. Mentre i cast di Hell’s Kitchen si fanno tra i professionisti, tutta gente che già conosce la realtà dei ristoranti.
E allora?
5. Carlo Cracco è diventato una tappa fondamentale nella costruzione della religione dei cuochi con la copertina di GQ.
Se la copertina di GQ è servita a sdoganare una professione come la nostra, a dare visibilità agli chef e mondo delle cucine, allora ben venga.
Faccio notare però che questo ruolo mi è toccato spesso, io mi sporco le mani poi ne beneficiano un po’ tutti.
Anche nel mio modo di comunicare, come nei piatti che cucino, c’è sempre un elevato tasso di provocazione. Masterchef per esempio, all’inizio tutti a prendere le distanze, nessuno che se lo filava. Oggi fanno la processione per partecipare, è diventato un must.
6. Cracco trascura il ristorante di via Hugo perché la sua attenzione è concentrata sul nuovo ristorante in Galleria Vittorio Emanuele.
Sbagliato anche questo, non ripongo tutte le attenzioni sul nuovo ristorante in Galleria. Io ho 4 figli, secondo voi mi metto a far differenze? No, curo tutti allo stesso modo.