Ci eravamo lasciati con un nutrito elenco di bock italiane. Oggi riprendiamo il viaggio con la birra artigianale spiegata bene: guida ai diversi stili birrari con annessi consigli per gli acquisti.
La primavera esplode e con lei anche la nostra sete e urgenza di reintegrare i liquidi.
Proviamo a placarla dopo aver esplorato gli stili Helles, Pils, Marzen, Weizen e appunto Bock, con una bella gitarella in quel di Colonia, culla delle kölsch.
E niente, vi tocca sorbirvi l’Alberto Angela che è in me pure stavolta (in questa versione ovviamente). Se dunque “avete la pazienza di seguirmi”, facciamo qualche passo a ritroso nella storia.
La storia dello stile Kölsch
Datare gli albori di ciò che oggi definiamo stile è spesso un esercizio complicato, vuoi perché si beve dalla notte dei tempi, vuoi perché la storia è liquida e si mescola ad altre rendendone nebulosi i contorni.
Sappiamo però che tracce di ciò che sarebbe stato chiamato kölsch si trovano già a partire dal 874 dc e che nel 1250 vi era un ufficio birrario a Colonia che ne controllava la produzione.
Sappiamo anche che fino al 19° secolo, ovvero quando le tecniche di maltazione resero più prontamente disponibili i malti ‘chiari’, Kölsch e Altbier (Ales ambrate prodotte a Düsseldorf) erano sostanzialmente sorelle gemelle. Ciò che beviamo oggi è di fatto l’espressione più recente di questa diversificazione stilistica.
Sappiamo inoltre che nel 1948 un manipolo di produttori formalizzò specifiche linee guida sulla produzione per definire e tutelare con più rigore lo stile. Nasceva così la Kölsch Konvention.
Oggi la risposta tedesca alle Pale Ale inglesi è protetta da identificazione geografica (una sorta di DOC) e solo una ventina di produttori locali (o poco più) possono utilizzare la menzione in etichetta.
Insomma, la vera Kölsch si beve a Köln (Colonia) immersi nel folclore locale e servita nel tradizionale Stange (bicchiere cilindrico da 0,2 cl). Ma nulla ci vieta di sollazzarci con le versioni italiane che interpretano lo stile.
Le caratteristiche dello stile Kölsch
Ritorniamo alle alte fermentazioni, quindi a una sorta di rarità produttiva in un panorama (quello tedesco, appunto) dominato dalle basse. Le tradizionali birre di Colonia e le versioni più fedeli allo stile dovrebbero esprimersi nel bicchiere all’incirca così:
SCHIUMA: bianca, di media persistenza;
ASPETTO: dorata e limpida;
AL NASO: ben bilanciato tra la base maltata, con rimandi di miele e più in generale di cereale, il luppolo, con tenui sentori erbacei e floreali, e il sempre importante contributo dei lieviti che in fermentazione arricchiscono il naso di sensazioni fruttate. Nel complesso dovreste comunque avere un naso dall’intensità contenuta;
IN BOCCA: ben attenuata (quindi secca), alcolicità compresa tra i 4.4 – 5.2 % vol, corpo da medio a medio-basso. La carbonazione (frizzantezza, bolle, CO2, sempre lei) è solitamente ben presente.
Le migliori birre Kölsch artigianali italiane
Ecco alcune espressioni italiane ispirate allo stile, alcune più fedeli altre di più libera interpretazione. I prezzi, riferiti alla vendita al dettaglio (e online) nel formato da 0,33 cl si aggirano attorno ai 4 Euro.
Golconda – Birrificio Endorama
Ce ne andiamo nella bergamasca per assaggiare l’interpretazione di Simone Casiraghi.
Rodercsh – Bidu
Interpretazione più luppolata anche quella proposta da Bidu.
Bucolica – Agribirrificio Luppolajo
Orzi che parlano mantovano in questa interpretazione dell’Agribirrificio Luppolajo.
Stria – Toccalmatto
Rivisitazione con un sussurro americano (al naso) nella versione prodotta in quel di Fidenza.
Hauria – Croce di Malto
Naso ringalluzzito dal più generoso apporto dei luppoli tedeschi, in bocca trova il giusto equilibrio con la dolcezza dei cereali.
Westfalia – Hammer
Tutto come da copione (tedesco) sembrerebbe. Cambia il sapere, in questo caso italiano, nella versione proposta da Hammer.
La Cancelliera – Ofelia (Teutonic ale)
Ofelia ci propone la sua libera interpretazione.
Mi aiutate voi a completare l’elenco?