Sarò retro, ma su di me le fiere hanno sempre un certo fascino. I parcheggi da nababbo, quella moquette infiammabile, l’assaggio selvaggio soprattutto quando ci si trova davanti a cibi che non si conoscono, le classiche, celeberrime “novità del mercato“.
Solitamente vado alla ricerca di cose del genere con la curiosità compulsiva che spesso riserva sòle o vacanze esotiche purgative, cacciandomi in bocca salame alla nocciola piemontese, olio di Argan del Marocco, pasta all’uovo con semi di canapa, sciroppi allo zucchero filato, pastiera napoletana con shell life di 8 mesi.
Tutto questo fino a oggi, fino a Cibus 2016.
Come tirarsi indietro davanti ad un’occasione così ghiotta? Prima di organizzare la trasferta a Parma, però, mi sono portata avanti col lavoro in modo da arrivare già carica di aspettative: quali novità alimentari vedrò quest’anno?
Ci sarà la crema di cioccolato dolcificata con il succo di carota concentrato (che riduce l’uso di zuccheri): dato che la top 5 di simil-Nutella è già ben chiara nella mia testa, e provando a immaginare cosa potrebbe portare in dote la carota in fatto di gusto, scarto l’ipotesi.
Va bene la curiosità, ma mai nella vita ho sentito il bisogno di mescolare cioccolato e carota. E poi parliamone: perché privarsi di qualcosa come lo zucchero nel momento in cui ci si concede il lusso di una crema al cioccolato?
Potrei ripiegare sulla composta di noci (di noci? Come si ricava una composta dalle noci?).
Potrei buttarmi sulle veggiefette (sottilette vegane) o sulle veganette ai carciofi (salumi vegani).
“Carlotta, pensaci bene”, mi dico mentre deglutisco con una certa difficoltà. La mia esperienza con i salumi veg a base di soia, da sempre, ha sortito effetti collaterali non proprio piacevoli, e non ho intenzione di riprovarci testando, chessò, melanzane tenute insieme da colla di pesce insaporite al finocchietto selvatico. No, magari anche no.
Potrei sempre andare a Cibus e assaggiare la maionese senza uovo o la mozzarella senza lattosio, ma ho delle remore teoretiche. Sono contenta che gli amici intolleranti possano godere di un surrogato dell’originale, ma allo stesso tempo mi pare inconcepibile il tutto, anzi mi sembra del tutto immorale.
Godendo della versione originale, diciamo che non sento il bisogno né la minima curiosità di buttarmi a pesce su una parente lontana, per di più acquisita. No: la mozzarella senza lattosio non vale il mio viaggio e nemmeno un decimo del costo del parcheggio in fiera. Figurarsi la pizza al carbone vegetale, o la piadina con riso rosso fermentato.
C’è sempre la questione del gazpacho gluten free in bicchiere o della confettura alle bacche di goji.
Rifletto. Ma quali?
Quei vermiciattoli rossastri e umidicci che si attaccano ai denti da oggi, nei secoli dei secoli, amen? Ho un concetto di bontà leggermente diverso, e non ho idea di come qualcuno possa partorire un prodotto simile, pur ispirandosi a concetti salutistici e salutari che con la gola non hanno punti in comune.
Quasi quasi quest’anno a Cibus non ci vado. Mi sa che il tema dell’healty food ci è sfuggito di mano. Dove che la trovo a Parma una trattoria tradizionale tutta culatello e gnocco fritto?
Mi hanno detto che il parcheggio è gratis.